Donne, danze e Dee Madri nella Preistoria: le origini rituali della danza del ventre

Danza del ventre, danza orientale, danza della nascita, danza della Dea Madre.
Quanti nomi per una danza millenaria antica quanto l’uomo, anzi in questo caso permettetemi, quanto la donna. In effetti non si può parlare delle origini della danza del ventre senza parlare di nascita. D’altronde molte di noi ne hanno conosciuto alcuni movimenti proprio in gravidanza, durante i corsi pre-natali, mostrati dalle ostetriche alle gestanti per abituarle a rilassare la muscolatura addominale e pelvica durante il delicato momento del parto.
Ma per capirne l’origine bisogna tornare molto indietro nel tempo, alle società matriarcali del Neolitico, quando le donne davano alla luce i propri piccoli con l’assistenza delle altre donne della comunità, che spesso si disponevano in cerchio per sostenere e confortare le partorienti. E’ risaputo che nelle culture primitive le donne partorivano accovacciate o in piedi, magari appoggiate a una compagna, affinchè il peso del feto ne favorisse la discesa, posizione nella quale, tra l’altro, potevano facilmente eseguire movimenti rotatori e ondulatori in grado di alleviare i dolori e favorire il corretto posizionamento del feto. Da tali movimenti basici, eseguiti ritmicamente e abbinati alla respirazione, avrebbe avuto origine la danza del ventre. Si tratterebbe quindi di un rito esclusivamente femminile, propiziatorio della fertilità, danzato dalle donne per le donne. L’etnomusicologo Curt Sachs, nel suo “Storia della danza”, ne fa risalire le origini proprio all’epoca Neolitica, senza però circoscriverla ad un territorio specifico, bensì descrivendo la danza pelvica dell'Africa Occidentale e fornendo testimonianze contemporanee di un'antica danza del ventre in varie aree geografiche anche molto lontane tra loro, come Nuova Guinea, Polinesia e Hawaii (pensiamo alla danza Hula).
Possiamo quindi parlare di “danze del ventre” al plurale, o meglio di una danza del ventre universale, nata per celebrare la nascita e la Terra al di là dei suoi confini geografici.
La comparsa di tali riti danzati è pressoché contemporanea nelle diverse aree del mondo, in quanto legati in maniera comune ai culti religiosi della Madre Terra, prima divinità ad essere venerata dalle comunità umane, dal Mediterraneo fino al Sudamerica e all’Oceania, sin dal Paleolitico (ca. 20.000 anni fa).
Diversi sono i nomi con cui, nelle diverse società arcaiche del mondo, era indicata la Dea Madre: Iside, Cibele, Inanna, Astarte, Ishtar, Tanit, Dea Serpente nell’area mediterranea e mediorientale, Pachamama nelle Ande, Oshun nel Centroamerica, Kunapipi in Australia. Unico però è il suo significato: rappresenta la fertilità, la vita, l’amore che crea tutte le cose.
La donna madre, in quanto essere umano in grado di generare il miracolo della vita e di controllarne il ciclo biologico, era a sua volta considerata una dea sulla Terra, e il suo ventre contenitore magico e mezzo per entrare in contatto col divino.
Questi principi non sono il frutto di fanatici movimenti femministi del terzo millennio. Sono Storia. E ce lo dicono le numerosissime statuette in pietra risalenti a migliaia di anni fa ritrovate in tutta l’area mediterranea, Veneri preistoriche raffiguranti la Dea Madre, figure dagli attributi femminili esagerati, volti a propiziare la fertilità della donna in Età Paleolitica e successivamente, in età Neolitica, con la scoperta dell’agricoltura, quella della terra. Sono piccole alcune decine di cm e presentano spesso una forma allungata, perché venivano infisse nel pavimento delle abitazioni e nei terreni agricoli, fungendo da amuleti che avrebbero assicurato alla comunità la produttività della specie e del raccolto.
La Venere di Willendorf in Austria, la Venere di Savignano, la Venere di Laussel, la Dea madre di Senorbì in Sardegna, sono solo alcuni esempi che rendono evidente l’aura di sacralità che circondava la donna in epoca arcaica. Figure tanto stilizzate quanto potenti dal punto di vista simbolico.
Il principio femminile era sacralizzato perché s’incarnava in un corpo magico, in grado di creare la vita e custodirla per nove mesi all'interno dell’utero, e di nutrirla e farla crescere con il latte che sgorgava dal seno materno. Un corpo che inspiegabilmente ogni mese, secondo i ritmi dellʼastro lunare, sanguinava. E, diversamente da chi perdeva sangue per una ferita, il corpo femminile non moriva.
Non stupisce quindi come la danza del ventre o orientale (altro nome altrettanto valido per questa danza, perché derivante dal latino “orios”, nascere, poiché l’Oriente è il luogo in cui nasce il Sole) sia da sempre avvolta da un alone di mistero e misconoscenza. In quanto danza delle origini, lontana nel tempo, in quanto danza della nascita, lontana dalla comprensione razionale dell’uomo, in quanto danza magica, in grado di creare un ponte naturale tra mondo umano e divino, canale di comunicazione privilegiato con gli dei. Se il mistero delle origini e della nascita sono ormai scientificamente risolti agli occhi dell’uomo contemporaneo, la magia di questa danza è ancora ciò che la rende unica e che ispira migliaia di donne nel mondo, ogni anno, a praticarla. Tale magia però non è accessibile a tutte: non basta il ventre, ma bisogna avere cuore e mente aperti, per comprenderne appieno il potere…
Bibliografia:
- Maria Strova, Il linguaggio segreto della danza del ventre, Macro Edizioni, 2005
- Vicki Noble, Il risveglio della dea, TEA, 2006
- Curt Sachs, Storia della danza, Il Saggiatore, 2015
- Pessina, Tinè, Archeologia del Neolitico. L'Italia tra VI e IV millennio a.C, Carocci Ed., 2018
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