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LETTERE al CORPO - Bellezza fisica e immagine di sé, tra canoni classici e movimenti body positivity

Aggiornamento: 5 nov 2022


Body calligraphy sul corpo di una modella

(Photo credit: Amjed Rifaie)


Essere questo o quello dipende solo da noi. Il nostro corpo è un giardino, e la nostra volontà è il giardiniere. Se vogliamo piantarvi ortiche o seminarvi lattuga, farvi crescere l'issopo o estirparvi il timo, mettervi un solo genere di erbe o molte specie, tenerlo sterile per ozio o renderlo fertile col lavoro, il potere e la capacità correttiva sono nella nostra volontà.”


Recitava così Iago, il protagonista dell’Otello, nel I atto della celebre tragedia di William Shakespeare. E nonostante siano passati secoli, le verità espresse dal genio della letteratura anglosassone sono quanto mai attuali. Perchè il rapporto con la “casa” che ci ospita su questa vita terrena, forse mai come adesso, è stato tanto conflittuale.

L’essere umano, dalla notte dei tempi, insegue la perfezione del corpo. Fin dall’età classica, quando simmetria, ponderazione e proporzioni numeriche costituivano i principi dell’armonia e della bellezza estetica. Al punto che lo scultore Policleto elaborò il cosiddetto Canone, una specifica regola di proporzionamento delle diverse parti del corpo umano, basata sulla divisione in ottavi, evidente nelle sue statue più celebri, come il Doriforo, modello di perfezione maschile incontrastato, per lo meno fino al David di Michelangelo.

L’ideale di bellezza corporea è cambiato innumerevoli volte nel corso della storia, presentandoci corpi longilinei e pesantemente truccati come nell’Antico Egitto; donne formose dai lunghi capelli biondi, con fianchi e addome morbidi, indice di benessere fisico ed economico, durante il Rinascimento; fisici magrissimi, mascolini ed emaciati, da cui curve e seni sono quasi banditi, come mostrano le donne di Klimt negli anni Dieci del Novecento.

La lista dei diversi canoni di bellezza nel corso della storia è lunghissima e variegata e merita sicuramente una trattazione ad hoc, oggetto di un prossimo articolo del blog.

Analizziamo per ora la questione della ricerca della bellezza da un punto di vista generale, o meglio universale. Perchè l’individuo insegue la bellezza del corpo? E’ forse più importante di quella dell’anima, o della mente?

Per molti pensatori greci, così come per molti autori latini, bellezza fisica e intellettuale andavano di pari passo (tutti conosciamo il celebre motto “Mens sana in corpore sano”), all’interno di una concezione complessiva ed olistica della persona.

Nell’Alto Medioevo poi, con l’affermarsi delle religioni monoteiste, in particolare il Cristianesimo, tale concezione cambia. Il corpo non è nient’altro che involucro per un bene assai più prezioso, ovvero l’anima. Intorno al VI secolo d.C. papa Gregorio Magno definisce il corpo abominevole rivestimento dell'anima e il monaco, modello umano della società altomedievale, mortifica il proprio corpo portando il cilicio sulle carni come gesto di autopunizione e praticando astinenza e continenza, qualità dell’uomo virtuoso e pio. D’altronde anche le chiese, paleocristriane, bizantine e romaniche, sono estremamente spoglie e prive di decorazioni all’esterno, con corpi edilizi realizzati in muratura faccia a vista o semplice pietra locale, per esplodere invece di bellezza, mosaici e cupole dorate all’interno, luogo dell’anima, e di Dio.

Durante il Rinascimento la bellezza classicheggiante dei corpi, ispirata ad ideali filosofici neoplatonici, cerca un compromesso, una giusta mediazione con i valori cristiani, di cui la società quattro-cinquecentesca è ancora profondamente permeata. Ecco che la Venere, o la Primavera di Botticelli, icone di bellezza femminile per eccellenza, apparentemente soltanto fisica, racchiudono in sé un profondo significato allegorico, simboleggiando l’invito, rivolto allo spettatore di epoca rinascimentale, a scegliere la bellezza spirituale e quella intellettuale dell’arte. Ma dato che la Storia si ripete, in maniera ciclica, ecco che il modello di bellezza cambierà ancora e ancora, e nell’arte vedremo il realismo crudo e privo di ornamenti delle sante caravaggesche del ‘600, profondamente fisiche nei loro decolletè a vista, e poi di nuovo la femminilità idealizzata e illuminista di una Paolina Bonaparte del Canova o ancora la bellezza sfacciata e audace dell’Olympia di Manet in epoca ottocentesca.

Questa ciclicità, quasi naturale, delle tendenze estetiche pare oggi essersi interrotta, e nell’epoca postmoderna attuale assistiamo alla convivenza di diversi modelli di bellezza, espressione di mode differenti, in cui però a farla da padrone sono corpi femminili con protagonisti il lato b, vitini esili come colli di bottiglia, insieme a seni, labbra e zigomi tutt’altro che autentici, meglio se rinforzati da make-up al limite del cinematografico o da magici filtri e app di fotoritocco. A questi rispondono fisici maschili superpalestrati, depilati e tatuati, che lasciano ben poco spazio alla fantasia. Una sola parola è d’ordine: piacersi ma soprattutto piacere agli altri, anche se si tratta degli utenti virtuali di un social media o di un metaverso immaginario e se questo significa spesso violentare la propria natura ed autenticità. D’altronde in un mondo globale, che quotidianamente ci bombarda di informazioni che viaggiano velocissime attraverso il web, ciò che conta è la prima immagine, che dev’essere perfetta ed estremamente efficace. Pare non ci sia tempo per andare oltre. Non c’è tempo per la cura della mente, o dello spirito. Non c’è tempo per studiare e approfondire. Non c’è tempo per pensare, meditare o pregare. Perchè l’ossessione per l’immagine del corpo impiega la gran parte delle energie dell’individuo.

E in questa trappola dell’immagine ci cadono tutti: adolescenti in primis, adulti che non vogliono invecchiare, ma anche bambini. Sono gli screen-agers che hanno conosciuto lo schermo dei dispositivi digitali ancor prima delle pagine di un libro di fiabe, che fanno ricerche su wikipedia anziché su enciclopedie e dizionari, che imparano a fare dai tutorial di youtube anziché nei corsi e laboratori dal vivo insieme ai coetanei. Sono ragazzi che spesso, quando raggiungono l’età della pubertà, non si confrontano più con la loro immagine allo specchio, osservando nel profondo i propri cambiamenti fisici ed imparando, a fatica, ad accettarli, ma lo fanno specchiandosi nei profili dei propri coetanei o peggio ancora in quelli di persone da n-mila followers, che osano, con i loro short video e comportamenti, influenzare le loro vite e le loro personalità in via di sviluppo, non considerando neanche lontanamente le eventuali conseguenze. Conseguenze che possono sfociare, in soggetti particolarmente fragili ed influenzabili, in disturbi d'ansia e depressione, in comportamenti autolesionistici e nei disturbi dell’immagine corporea e del comportamento alimentare.

Anoressia, bulimia e binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata) sono solo i principali tra questi disturbi, prima diffusi quasi esclusivamente tra le ragazze ed ora sempre più anche tra i ragazzi. Adolescenti particolarmente sensibili al giudizio altrui e al condizionamento dei mass media, che vivono un conflitto continuo tra il proprio corpo reale e quello ideale, che si traduce in vere e proprie sofferenze e forme di autoviolenza.

Per contrastare le diverse forme di bullismo e body shaming, ovvero gli atteggiamenti di derisione del corpo altrui, ecco che pian piano, negli ultimi decenni, si fanno avanti movimenti sociali volti all'accettazione di ogni aspetto fisico, a prescindere da taglia, forma, colore della pelle, genere e abilità fisica, e alla contestazione degli standard di bellezza stereotipata. Negli anni ’90 negli USA nasce il Body Positive Movement da cui poi discende il movimento Body Positivity, che parte dal concetto fondamentale che "ogni corpo è valido". Si rifiuta quindi l’idea di un’unica immagine possibile e corretta di corporeità in cui riconoscersi, pensando a un mondo che permetta l’inclusione di tutto ciò che non è esattamente “conforme” ai canoni imposti da società e media. Via libera allora al corpo sovrappeso, imperfetto, ed addirittura obeso, nei messaggi diffusi da alcuni importanti brand di beauty, sulle passerelle che propongono finalmente modelle dai corpi morbidi e curvy, negli spot pubblicitari, che ingaggiano testimonial, anche famosi, per portare avanti motti quali “Io valgo”, “Sono quel che sono”, “Ama te stessa, ama le tue imperfezioni”. Negli anni 2010-2011, con l’avvento di nuovi social media, come Instagram, e poi Tik Tok, ecco che molte donne iniziano a postare contenuti inconsueti, mostrando corpi imperfetti e non conformi all’hashtag “ufficiale”, proponendosi come attiviste e promotrici di una nuova idea di bellezza estetica, che abbraccia i valori della Body e Diversity Positive.

Il rischio però di ricadere in un nuovo stereotipo, che potrebbe inneggiare alla diversità a tutti i costi, alla grassezza e ad un comportamento alimentare in ogni caso scorretto, è comunque dietro l’angolo. Oltre al fatto che in questi ultimi anni, complice la pandemia da covid-19 e la perdita delle abitudini quotidiane ed alimentari nei periodi di lockdown, la percentuale di persone affette da disturbi alimentari e dell’immagine corporea è salita notevolmente, soprattutto tra gli adolescenti, aumentando del 40% rispetto al pre-pandemia. Secondo i dati più recenti 2022 del Ministero della Salute sono circa 3 milioni i giovani in Italia che soffrono di Disturbi dell’Alimentazione, di cui il 95,9% donne e il 4,1% uomini. Quasi il 10% delle ragazze in età a rischio (15-25 anni) soffre di un disturbo alimentare “parziale” o “subclinico”, ma il fenomeno si sta diffondendo sempre di più tra le ragazzine in età preadolescenziale.

Perchè allora, nonostante la nuova tendenza alla bellezza inclusiva, accadono comunque questi fenomeni? Evidentemente, in questa confusione e sovrapposizione di modelli estetici di riferimento, sussiste un problema sociale di fondo, che difficilmente qualsiasi movimento body positive potrà combattere, se non ripensando i costrutti sociali ed educativi. Si tratta della necessità di concentrarsi sulla salute interiore del corpo piuttosto che sul suo aspetto esteriore. E il benessere del corpo va sempre di pari passo con quello mentale, e spirituale.

Un corpo che mangia, prega e ama, parafrasando il titolo di un celebre libro e poi film, è un corpo in armonia con l’universo. Un corpo che legge, ascolta, viaggia, pratica sport, danza o attività fisica, un corpo che vive in comunità e condivisione con i propri pari, un corpo messo in moto da stimoli emotivi e intellettivi, elaborati dalla nostra individualità, e non dalla necessità di emulare qualcun altro, è un corpo in salute. Solo una mente sana, equilibrata ed attiva, in grado di riconoscere il subentrare di eventuali squilibri e comportamenti disfunzionali all’interno dell’individuo, può portare al rispetto e alla cura del corpo fisico che la ospita, anche se è un corpo imperfetto e non dobbiamo per forza amarlo a tutti i costi, ma accettarlo e apprezzarlo per tutto ciò che ogni giorno ci permette di fare.

Forse allora, anziché parlare di body positivity a tutti i costi, ostinandoci a trovare pregi anche laddove effettivamente non ce ne sono, dovremmo cominciare a parlare di body neutrality, accettando i nostri difetti o lavorando per migliorarli, ma senza crucciarci se non ci riusciamo. E capire soprattutto che il corpo non è il fine, ma il mezzo, per rendere la nostra vita felice e degna di essere vissuta.

La cura di questo nostro involucro “sacro”, del nostro giardino, delle sue piante, dei suoi fiori, della sua bellezza e prosperità e il far sì che essi rimangano tali nel tempo dipende solo dalla volontà, dall’intelligenza e dall’amore per noi stessi, che siamo giardinieri della nostra vita, oltre che del nostro corpo.

“Perchè quando ti piace un fiore, semplicemente lo cogli. Ma quando ami un fiore, lo annaffi tutti i giorni.’” (Buddha).


(Questo articolo è stato scritto pensando a una persona speciale, che è la "Luce" dei nostri occhi e della nostra famiglia, perché possa tornare presto a brillare nonostante le inaspettate zone d’ombra che la vita può riservare...)


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